l'autore del racconto "palle e palloni"

l'autore

 

Palloni e Coglioni

di Edoardo FiumePo

 

Mi presentai all’esame di psicologia, con le idee chiare. E senza essermi lavato. Avevo giocato a calcetto fino a dieci minuti prima. Sotto la camicia, la maglia di otto anni fa della Roma. Col numero due, del pendolino Cafù.

Il professore mi chiede: Fiumepo, mi parli delle euristiche. Poi annusa l’aria, qualcosa di acre gli infastidisce il dotto naso. Sono le mie ascelle.

Comincio a spiegare che le euristiche sono delle scorciatoie intellettuali, che tutti usiamo, per giungere a delle conclusioni su situazioni e persone, nel minor tempo possibile.

Perché l’uomo vive la società, per capirla. È la sua motivazione a vivere, gli dico, o almeno dovrebbe esserlo..

Vada avanti, mi dice, vada pure avanti.

Esistono diversi tipi di euristiche, possono essere di rappresentatività, di disponibilità, di simulazione.

Dicesi euristica di rappresentatività, un’ euristica basata sul giudizio di appartenenza categoriale. Ci serve per inserire velocemente un dato individuo A in una certa categoria B, attraverso una rapida presa visione degli attributi superficiali di A.

Dicesi euristica di disponibilità, un’ euristica basata sulla frequenza o probabilità con cui un evento si verifichi nella realtà sociale.

Dicesi euristica di simulazione, un’euristica basata sulla costruzione o simulazione di scenari ipotetici. Non reali, che…

Bene bene Fiumepo, bene bene. Le definizioni sono giuste, anche se non del tutto complete, posso supporre che lei sia preparato. Ora perché non ci fa un esempio, per spiegarle?

 

E poi si gira, e guarda la finestra.

Le mie ascelle, lo hanno colmato.

Posso usare come esempio un fatto personale? Così elaboro meglio le definizioni e le ancoro al mio pensiero gli dico, così mi rendo consapevole, per poterle meglio utilizzare nella spiegazione della realtà sociale che ci circonda, posso? e poi alzo le braccia, fingendo di grattarmi la schiena e mi sorprendo del mio stesso odore. Mentre il prof. riordina le idee, penso che in termini olfattivi ho dei confini marcatissimi. Se fossi un ghiottone o un diavoletto della Tazmania, sarei temuto e rispettato. Sarei considerato il più forte. Le femmine della mia specie mi cercherebbero con assiduità.

Va bene Fiumepo, se ci tiene, cominci pure. Couf couf, couf, le dispiace, se apro la finestra? Questa stanza, ha bisogno di un cambio d’aria, è da ore che è chiusa…

Professore, le dispiacerebbe attendere, ad aprire la finestra? Soffro di cervicale, di sinusite, di rinite allergica, starei male, se aprisse ora la finestra. E intanto, nella stanza, confermo con entusiasmo il mio dominio territoriale. Va beeeene, Fiumepo, aspetteremo ad aprire la finestra. Ora faccia l’esempio.

Mi schiarisco la voce e dico mi trovavo sul treno di ritorno da Bologna, qualche anno fa andavo spesso a Bologna, per l’università. Era il periodo che sui treni c’erano anche le pulci, e i pidocchi (anche se io non li ho mai visti).

Io avevo perso il solito treno delle diciotto e cinquantaquattro, perché mi ero fermato a prendere una piadina con la salsiccia e la cipolla, per consolarmi visto che dovevo uscire con una mia collega universitaria che mi aveva dato buca, dicendo che aveva il mal di testa.

Si ma questa, Fiumepo, non è un’euristica, lo so lo so professore, mi sono un attimo dilungato mi scusi, riprendo il discorso, lui soffre, si vede che soffre. Gli architetti che fanno i soffitti bassi, secondo me il mio professore, li odia.

Avevo perso il treno, e non mi restava che aspettare quello dopo, e il treno delle diciannove e cinquantaquattro, quel giorni, era pieno di operai, che a Bologna stavano rifacendo la tangenziale, probabilmente l’appalto era di una ditta di un’altra città sulla via Emilia, il fatto è che, arrivato da Ancona, il treno a Bologna si riempì di gente e io trovai posto in uno scompartimento stranamente vuoto dove c’erano solo cinque ragazzi di colore, vestiti ancora da lavoro, sudati, stanchi, sporchi. Indossavano i pantaloni arancioni con le bande catarifrangenti, e avevano tracce di catrame sulle braccia e anche sul viso. Puzzavano di lavoro ovviamente.

Ad una stazione ad un certo punto, gli dico, salgono degli uomini, e fanno casino. Urlano, hanno un megafono, insultano, la gente accorre a vedere cosa succede. Hanno dei prodotti per la pulizia della casa, dei panni gialli, dei guanti gialli, la giacca e la cravatta, profumano di nullafacenza. 

C’è tensione sul treno. Loro circondano lo scompartimento dove sono seduto a fianco di Youseff: centoottantatrè centimetri senegalesi stanchi ma socievoli.

Magari hanno cambiato le divise degli uomini addetti alle pulizie penso e mi metto a ridere da solo. Gli altri ragazzi, si girano sorridendo. C’era un bel clima, in quello scompartimento.

Poi gli uomini con la cravatta e i guanti gialli entrano nel nostro scompartimento, accompagnati da altra gente, che tiene gli occhi bassi, con ghigno interdetto, come quando da bambini si sputava sui passanti dal balcone, e gli uomini delle pulizie eleganti, cominciano a urlare, Ecco, urlano, ecco! La sporcizia dei treni italiani, eccola qua, gente che sale sporca, che rovina l’Italia con le proprie scarse attitudini all’igiene. Io mi guardo con Youseff, ci bisbigliamo ma è scemo questo, che si vede proprio che per lui è un’abitudine che la gente giri con i pantaloni arancioni con le bande catarifrangenti e il catrame sulla pelle, io alzo le spalle, loro continuano. Adesso, accendi la telecamera Walter, che facciamo vedere che noi ci teniamo che l’Italia sia uno stato pulito, che noi non permetteremo che questa gente ci passi le pulci. Io penso che quell’uomo vuole fare il pungiball, e metto una mano sul petto di Youseff; gli impedisco di alzarsi, non ne vale la pena gli dico, ti ficchi nei guai.

Il professor Pane mi guarda, incuriosito, nè lui nè io, ci ricordiamo dove volevo andare a parare.

Uno di questi igienizzatori d’Italia si avvicina ai miei sedili, mi guarda, si sorprende, si vede che non si è abituato a vedere bianchi fra neri. Mi ignora credendomi complice. E lì mi offendo. Fa per andarsene e gli dico ebeh!

Lui si gira, lo fanno anche gli altri pulitori eleganti, lo fa anche Youseff, Walter intanto riprende con la videocamera. Io mi sento la faccia calda, mi tremano le mani. Ebeh!, ripeto, che razza di pulizia è, se saltate il mio sedile? Perché io non posso avere le pulci? Youseff spalanca la bocca, io ormai non mi controllo più, prova lui a fermarmi stavolta, gli dico, tranquillo. Mi alzo, strappo dalle mani del pulitore parlante elegante il suo spruzzino, mi pulisco il sedile per bene, poi gli dico e i vetri? I vetri non li fate? E pulisco il vetro di fianco a me, poi gli ridò in mano lo spruzzino e gli dico spruzzamelo sulle mani, gli dico, che ti ho toccato, gli dico, ed è antiigienico toccare delle feci.

Il tipo sbigottito elegante coi guanti gialli ci mette un po’, poi ci arriva e si incazza. Vorrebbe darmi uno schiaffo. Ma si alza Youseff. E lui ha paura. Perché a capo di tante persone, ma effettivamente solo. E se ne va. Se ne vanno tutti, riempiendomi di insulti, ma troppo mediocri per reagire. Io mi siedo. Poi visto che mi treman le mani, Youseff mi mette le sue mani sulle spalle, tranquillo, mi dice, calmati.

E io mi calmo chiedo scusa per la maleducazione di certe persone e poi comincio a ridere. Loro mi guardano e io rido tantissimo. Ahahah. Ahahah.

Il professore Pane mi guarda. Tiene le mani davanti alla bocca. Preferisce la sua anidride carbonica al mio olezzo da  dominatore.

Ebbene?

È un’ euristica della rappresentatività, gli dico,  quella degli uomini eleganti coi guanti gialli, che inseriscono nella categoria portatori di pulci gli uomini di colore. E infatti sono portati all’errore dall’insensibilità al valore predittivo dell’informazione su cui basano il loro giudizio sociale.

Il Professore Pane sorride, e annuisce.

È un’ euristica della disponibilità, quando vedendo cinque ragazzi di colore, pensano che non ci siano persone non di colore nello scompartimento, commettono infatti due errori, in questo giudizio, quello di immaginabilità, per cui a loro risulta poco probabile che fra uomini di colore ci siano uomini bianchi, e quello di associazione tra etichette e attributi di alcune persone, che costruiscono il presupposto per uno stereotipo sociale errato.

Il professore Pane, si alza, si avvicina alla finestra, mi dice, ottimo Fiumepo, ottimo. Ma manca quella di simulazione.

Io ci penso, e poi dico no no, c’è anche quella! La mia risata era per quell’euristica. Ah si? Si vuole spiegare? Beh, l’euristica di simulazione è un’euristica basata sulla costruzione o simulazione di scenari ipotetici, e non reali. Quindi, supponedo che fossi stato un ragazzo di colore, come pensavano all’inizio gli igienizzatori, beh, in quel caso, insomma, ce l’avrei avuto lungo.

Scoppia a ridere, annuisce, ci pensa un attimo, apre la finestra.

Trenta. 

 

il testo è stato pubblicato sul quotidiano “libertà” con titolo “palle e palloni” ed è coperto da copyright