CABARET E PRESENTAZIONE LIBRO

SABATO 3 DICEMBRE ORE 17,30 LIBRERIA ROMAGNOSI- PIACENZA

CABARET E PRESENTAZIONE DEL MIO PRIMO LIBRO

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ECCO L’ ATTORE INCISIVO (QUASI CANINO), ECCO IL CLOWN IRRITANTE, ECCO IL COMICO LASSATIVO, ECCO IL CABARETTISTA ORTICANTE, ECCO LO SCRITTORE IN ERBA…ANZI IN GRAMIGNA. MA ECCO ANCHE UNO DEI MIGLIORI CASSIERI DI SUPERMERCATO, DEL MONDO. ANCHE UNO DEI PIU’ INFINITAMENTE MODESTI.

Se volete regalare uno spettacolino per il compleanno dei Vostri bambini o cabaret per eventi vari: feo_warren@libero.it

Scusate per la foto eccessivamente grande. Non è per megalomania. E’ che non sono riuscita a rimpicciolirla più di tanto. Purtroppo la teconologia è sempre stata una delle frecce migliori, al mio arco. Pensate al resto. Pensate anche che sono diplomato programmatore di calcolatori elettronici (come si diceva un tempo). Diploma conseguito in un istituto tecnico commerciale statale, che prima ha istituito il corso e poi ha ordinato i computers. Cosicchè mi sono diplomato senza mai accendere, non solo un main frame, come era negli intenti scolastici, ma nemmeno un personal. In compenso ho fatto tanti flow-charts…quando ne avevo voglia. Miracoli della scuola italiana. E meno male che ho fatto altro nella vita!

WARREN BIKER

Di Federico Puorro

 Mi chiamo Warren. Qualche anno fa ero depresso come Willy il coyote, quando non riesce ad acchiappare lo struzzo. Mi aveva appena mollato la mia ragazza, una cosa dolorosissima. Mi ha lasciato per un altro.

<<…tana>> ho pensato. <<Incompatibilità di carattere>> si è giustificata lei, io le ho risposto <<incompatibilità di ca…>> Moralmente, ero proprio con le gomme sgonfie. Allora, per non pensare a lei, mi sono rifugiato nella lettura dei fumetti. Stavo tutto il giorno a leggere il famoso ranger Tex Willer. Ne riuscivo a leggere anche una decina il giorno. Ci avete mai fatto caso? Tex non muore mai! Per forza sennò finisce il fumetto!

Gli sparano, ma riesce sempre a schivare i colpi. Va più forte delle pallottole. Gli danno le coltellate ma lo prendono sempre di striscio, si ferisce, ma non muore. Casca dentro le rapide del fiume, si beve mezzo fiume, sviene, ma non muore mai. E’ gagliardo Tex! E poi l’avete mai visto con una donna? A parte sua moglie indiana, che è morta? Mai!

Niente! Non s’innamora mai, non bacia mai, non fa mai all’amore, non si masturba mai, e che caspita! E’ gagliardo Tex! Tex, ci aveva il cavallo che si chiamava Dinamite, che è morto anch’esso, come la moglie, perché solo Tex non muore mai. Beh a Dinamite mancava solo la parola: Tex gli fischiava e Dinamite lo andava a prendere, lo rubavano e ritornava a casa, lo faceva impennare, gli diceva di andare più forte e lui accelerava. Una volta è riuscito a farlo correre con le due zampe destre, come una macchina su due ruote. E’ gagliardo Tex! Ma era gagliardo pure il suo cavallo!

Un’altra cosa che ti fare stare bene, quando leggi Tex, sono gli amici che ha.

Sono quattro: Tex, Kit Carson, il figlio di Tex, Kit Willer e l’amico indiano Tiger Jack. Kit Carson, come Tex, non si sa quanti anni ci ha. E’ una vita che ha i capelli, i baffi e il pizzo bianchi. E’ sempre stato così! Quando è nato, doveva essere già così. Si saranno spaventate le infermiere. Avranno esclamato: <<E’ nato un nonno!>> E’ gagliardo Kit Carson! L’unico difetto di Kit Carson è il pessimismo. Vede il male dappertutto. È depresso peggio di Gatto Silvestro quando gli sfugge Titti. Gli sembra sempre di dover morire. Ma anche lui non muore mai. Il figlio di Tex, Kit, è nato da Tex e sua moglie Lilli che era un’indiana, è un mezzosangue, in italiano si direbbe un incrocio, più offensivamente, un bastardo. Ma è gagliardo come suo padre! Per ultimo c’e’ l’indiano Tiger Jack che è come la moglie di Tex un navajo. Tiger segue le tracce come nessuno, ed è silenzioso come un’ombra, con l’agilità di un felino. E’gagliardo Tiger! Questi quattro sono amici veramente, si salvano tra di loro, si buttano nel fuoco, rischiano la pelle, si fanno torturare per amicizia. Puoi affidare loro, tua moglie nuda che non la toccano! Insomma ti puoi fidare veramente. E’ gagliardo Tex! Ma sono gagliardi anche i suoi amici!

Tutti e quattro, non hanno mai una donna e stanno bene, sono rilassati. Si sfogheranno a sparare solo con le pistole di ferro.

Insomma quando ti leggi Tex, ti senti meglio, t’infonde un senso di onestà, ti dà una carica incredibile, ti senti invincibile e sei convinto di poter affrontare qualsiasi difficoltà.

Poi col tempo, subentra qualche contro indicazione. Cominci a reagire, con tutti, come fa Tex. Uno ti manda a quel paese al semaforo e tu gli rispondi: <<Sporca canaglia!>> E gli dai quattro o cinque pugni. Se trovi tua moglie che ti fa le corna le dici: << Sgualdrina>> e le molli due ceffoni. Prendi l’amante per il collo e gli gridi: <<Pendaglio da forca!>> e gli strappi tutti i capelli col coltello che ti sei comprato e che tieni dentro il fodero dietro la schiena, proprio come Tex.

Se ti rubano la macchina, estrai due colt 45, col cinturone che ti schiaccia i cosiddetti, ma non te ne frega niente perché, come a Tex, i cosiddetti non ti servono quasi a niente e cominci a rincorrere i ladri e gli spari due colpi precisi in mezzo agli occhi e gli dici: <<Ora andate a spalare carbone da satanasso!>> Insomma dovevo trovare qualcosa che mi permettesse di stare meglio, senza rischiare di fare del far west la mia vita. Ho cominciato a pensare.

Dopo sei o sette mesi di pensiero, perché io ho i miei tempi, ho pensato di comprarmi una moto. Ho guardato il saldo del conto corrente e mi sono depresso ancora di più, perché mi potevo permettere un paio di pattini a rotelle. Poi sul giornale, ho visto una pubblicità che diceva: <<La moto che hai sempre desiderato in centoottantotto rate senza interessi. >> In pratica le rate si trasferiscono ai nipoti dei tuoi nipoti. Ma in quel momento mi sembrava la soluzione adatta ai miei problemi e sono andato dal concessionario. Ci aveva un’esposizione di moto infinita. Non vi dico i prezzi, da infarto! Insomma gira e rigira, finalmente, ne ho vista una che aveva un prezzo accettabile e mi sono innamorato subito.

Presto sarei diventato Warren Biker!

Era gialla, modello custom, il manubrio a corna di vacca e lo schienale dietro per non perdere la donna, e mi sembra giusto, una volta che ne trovi una, è meglio non farla cascare dalla moto. Le forcelle lunghe, le cromature e le pedane avanzate per poggiare i piedi in avanti, con le gambe belle aperte per rinfrescarti i cosiddetti che, in estate si sa, possono anche sudare. Insomma era uno sballo! Non vi dico la marca per non fare pubblicità, comunque si chiamava “LS 650 Savage” che in francese vuol dire selvaggio. E’ stato amore a prima vista, l’ho inforcata e stavo per avere un orgasmo! Sembrava la moto fatta apposta per me.

La moto custom è anche una filosofia di vita. Almeno per me. Significa, relax, amore per la natura, vogliamoci bene, pace nel mondo, facciamo l’amore e non la guerra, se vedi un prato d’erba, non calpestarla, ma fumala piuttosto. A me piace andare piano, sedermi come se fossi in poltrona e gridare: <<I’am Warren Biker the best biker in the word made all round and play off steel.>> Che non so bene che significa ma a me piace e mi dà una carica incredibile. Insomma per tanti motivi la Savage mi pareva un sogno. I’m Warren Biker…

In molte moto hai una sorta di riparo dall’aria, mentre con la mia, l’aria ti viene tutt’addosso, ti rinfresca e ti dà una sensazione de libertà, migliore della vecchia pubblicità del Gled aria nuova, in cui alcuni galeotti si trovavano, improvvisamente, evasi di galera semplicemente spruzzando Gled. Gli amici mi prendono in giro perché il rumore della mia moto sarebbe uguale a quella d’una caffettiera da tre tazze e non va tanto forte. Mentre le loro, costosissime e tutte fornite di accessori, fanno un rumore fastidiosissimo. Io gli rispondo: << La moto non deve fare rumore perché voglio sentire il cinguettio degli uccelli e poi un vero viaggiatore deve ammirare sempre il paesaggio, anche in viaggio>>.  I’ m Warren Biker…Io spesso vado in giro da solo, perché i miei amici vanno troppo forte. Prima avevano quasi tutte moto custom e c’era uno spirito libero e solidale. Poi è cambiato tutto. Sono rimasto l’unico custom biker. E sono diventato un lone wolf, un lupo solitario, anzi un lone Warren: <<the best biker…eccetera>> Nel senso che io voglio percorrere la strada, con le tappe che desidero. Per esempio, a me piace andare in giro in campagna. Se vedo un bel panorama mi fermo e mi metto a contemplarlo. Se poi sono in una campagna solitaria, mi tolgo il casco e mi godo l’aria nei capelli, oppure mi tolgo gli stivali e mi rinfresco in mezzo alle dita dei piedi. Anche perché con gli stivali i piedi puzzano un pochino. Certo che a fare così il tempo passa ed io mi rilasso e non me ne accorgo. Una volta, per fare quarantasei kilometri ci ho messo quattro giorni. A casa avevano già telefonato ai carabinieri. Mi ha trovato una troupe di “Chi l’ha visto?”.  Nonostante la Savage non sia proprio da lunghi viaggi, se non a tappe e con soste frequenti, con la moto, sono andato in Costa Azzurra. Se c’è una cosa che fa molto viaggio, è la moto carica. Alla mia ci avevo attaccato due borse di pelle. Dentro c’erano la tuta anti acqua, e gli attrezzi meccanici. Quando viaggio, mi porto appresso un’officina completa. Poi non so svitare neanche un bullone, ma spero in qualcuno che lo sappia fare. Poi ci avevo una borsa sul serbatoio, il sacco a pelo sotto il manubrio, la tenda sopra al fanale posteriore, uno zaino sopra le spalle, e sopra la tenda ci avevo un’altra borsa con i costumi e tutto l’occorrente per la spiaggia: materassino, canotto, palette, secchiello e formine. Quando mi sono fermato all’autogrill, mi guardavano tutti, sembravo un terremotato senzatetto. Comunque sono arrivato in Francia dopo trentasei ore viaggio, non riuscivo più a scendere dalla moto, mi hanno preso, i miei amici, in quattro e mi hanno spostato di peso. Ma ero in piedi con la stessa posa che avevo in moto. Come imbalsamato.

Le braccia vibravano ancora, le gambe non si piegavano più. Il sedere mi si era addormentato. In somma per espletare i bisogni, m’hanno dato il pappagallo. La schiena scricchiolava tutta e per finire i famosi “cosiddetti” parevano due uova a occhio di bue. Ho fatto tre giorni in trazione in ortopedia a Nizza. I’am  Warren Biker… Un altro lungo viaggio, in moto, l’ho fatto quando sono andato in Sicilia. Ci avevo quindici giorni di ferie. Memore dell’esperienza francese, mi sono fatto furbo ho caricato la moto sul traghetto. All’arrivo, stavolta, tutto bene. La mattina dopo mi sono svegliato, mi sono messo il costume, una maglietta e le ciabatte da mare e ho inforcato la moto, pronto ad andare in spiaggia. Ma se la sfiga mi aveva risparmiato durante il viaggio, mi aspettava al varco. In moto, in tenuta da spiaggia, ho preso la strada che portava al mare. Il cielo era sereno, la brezza marina mi accarezzava dolcemente ed io con i capelli al vento senza casco, con l’aria che mi entrava in mezzo le dita dei piedi, mi sollazzavo distrattamente guardando il panorama. A un certo punto c’era una discesa, allora io stacco le mani dal manubrio, tanto la moto camminava da sola, e, per godere ancora di più del momento, ho assunto la posa di Di Caprio in Titanic con le braccia aperte. Stavo ringraziando il Signore del momento così intenso che stavo vivendo che, forse Lui, il Signore, proprio per punirmi delle tante regole che stavo infrangendo, mi ha fatto trovare improvvisamente, dietro una curva, una coda di macchine ferme al semaforo.  Subito ho pensato:<< Ma chi è lo str…. che ha messo un semaforo dopo una curva?>> Ma subito dopo ho dovuto afferrare il manubrio per frenare. Appena ho frenato con tutt’e due i freni, la ruota davanti ha cominciato a pattinare e mi sono trovato dal fare Titanic a interpretare Superman, perché ho cominciato a volare sopra l’asfalto reso scivoloso dalla sabbia. Insomma mi sono grattato il ginocchio e il braccio. Stavo ancora per terra e mi si avvicina una signora che abitava lì vicino, con l’alcool e un bicchiere d’acqua in mano. Non sapeva ancora cosa era successo, ma aveva già il pronto soccorso, si capisce che era già abituata a vedere quelle scene, e mi ha buttato l’alcool sopra la carne viva del ginocchio. Ho visto tutta la costellazione! E in pieno giorno!

Morale della favola: ho fatto tutta la vacanza con le stampelle e senza moto. Per finire, la moto, aveva sostituito, per quanto possibile, la fidanzata, ma anch’essa mi dava gioie e dolori. I’am Warrren Biker… Per tutto quanto sopra vi do un consiglio alla Nico Cereghini: << Casco ben allacciato, fari accesi anche di giorno e prudenza, tanta prudenza.>>

 PAROLONA

 di Federico Puorro

(PREMIATO COL DIPLOMA D’ONORE ALLA POETESSA LAURA GUARRACINO AL CONCORSO NAZIONALE “EMOZIONI E MAGIE DEL NATALE DI ROBERTA BRACESCHI”)

<< Che fretta c’era, maledetta primavera, che fretta c’era… lo sappiamo io e te >>

Con questo ritornello o con altri, si presentava Paolona, quando incontrava qualche, conoscente in paese. Era il suo modo gioviale di salutare, il prossimo.

Così, quando passeggiava per la piazza o per le stradine del paese Paolona cantava, sempre:

<< Vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio >>

Perché conosceva tutti e tutti la conoscevano. Lasciavano che finisse il suo ritornello felice: << Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bambola>> e poi la salutavano affettuosamente e le chiedevano qualcosa << come stai Paola ?>>, << Dove vai Paola?>> ma lei come non avesse sentito, continuava: << Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bambola>> e riprendeva la sua strada più contenta di prima. La chiamavano Paolona perché era una ragazza un po’ robusta, ma con tutte le cose, al loro posto. Un po’  robusta ma proporzionata e  molto femminile.Le uniche parole che, le sentivano pronunciare, erano quelle dei ritornelli delle canzoni. Per questo la chiamavano anche Parolona. Era fatta così, quando era seduta su di una panchina da sola, il suo viso assumeva un espressione tristissima e pensierosa, ma quando qualcuno le passava vicino o le rivolgeva qualche attenzione, il suo viso si illuminava come per incanto, in un sorriso sereno e cantava: << Rose rosse per te, ho comprato stasera, ma il mio  cuore non sa cosa voglio da te >>  Parolona a quel tempo aveva circa, venticinque anni, anche se il suo aspetto ne lasciava intuire qualcuno di più. I suoi vestiti, erano quelli smessi, che le venivano regalati.  Il suo viso, quando era serena, era molto gradevole, circondato da lunghi capelli biondi, un po’ sfibrati e spettinati,  ma illuminati da due lampadine azzurre, che spesso si accendevano nel vuoto e nella tristezza infinita.

Era figlia di un alcolizzato, rimasto vedovo troppo presto, e che troppo presto si era arreso alla vita e cercava rifugio, nel vino. Il papà di Parolona le voleva bene, ma da quando le era mancata la moglie , si era ridotto male.  Quando era in casa con lui Parolona, ascoltava sempre la radio. Ma spesso suo padre si infuriava, perché la radio lo infastidiva, diceva che gli faceva venire il mal di testa.  Anche se il mal di testa glielo procurava la sbronza. Parolona per non vedere suo padre, in quello stato e non sapendo bene che, fine avesse fatto la mamma,  la cercava, per le vie del paese e per la piazza, sperando di incontrarla di ritorno dalla spesa.Se la ricordano, i più anziani, la mamma di Parolona, una bella signora bionda, con un viso sereno e un po’  balbuziente, che i soliti maligni, prendevano anche in giro, dicendo che “non ce le aveva tutte a casa”, insomma era un po’ ritardata.

Dall’incontro di quel signore che allora,  alzava, solo un po’ il gomito e dalla signora un po’ balbuziente nacque Paola detta, Parolona. Il destino crudele, le aveva portato via la mamma, che lei era ancora piccola, colpita da un male incurabile.

Parolona era cresciuta col papà che, l’aveva curata bene, compatibilmente col vizio dell’alcool che peggiorava sempre più .L’assistente sociale li seguiva entrambi.

L’assistente sociale voleva bene a Parolona e suo padre e cercava di fare del suo meglio, ma purtroppo, le famiglie e le persone che, avevano bisogno del suo aiuto, erano parecchie nel paese.

Così Parolona e suo padre, non erano seguiti, come le loro condizioni avrebbero richiesto.

Il padre di Parolona usciva solo per bere, essendo in pensione e veniva spesso deriso.

Viveva una solitudine e un disagio assoluto. Parolona, invece era più socievole, cercava di incontrare la gente, per cantargli una, delle sue canzoni. Si fidava Parolona. Si fidava di tutti, anche ingenuamente. Ma era un anima innocente. Ripudiava la cattiveria.

Tutti erano gentili con lei. Nei limiti del possibile, cercavano di esaudire le sue richieste. E lei li ringraziava a sua modo: <<Siamo i watussi, siamo i Watussi, gli altissimi negri>>.

Spesso le ragazze della sua età, la portavano con loro, nelle loro uscite o nelle loro passeggiate.

La facevano anche rincasare presto. Le volevano bene. La invitavano sempre alle feste. Come tutti gli anni, una delle sue amiche, la invitò alla sua festa di compleanno. Parolona come al solito, alle feste, ballava a suo modo. Si scatenava in balli inusuali e inventati da lei. Spesso era bersaglio di canzonature da parte dei più stupidi. Ma le sue amiche la difendevano.  Ballava e cantava. Cantava e ballava.  Poi quando si stancava la riaccompagnavano a casa. In quell’ultima festa però, qualcosa non funzionò come le altre volte. La ragazza che si preoccupava sempre di accompagnarla e riportarla a casa, andò via prima dalla festa, con un ragazzo e lasciò l’incarico ad un altra ragazza,  che aveva bevuto un po’ troppo e si dimenticò di lei. Parolona, rimase alla festa con ragazze di fuori, che non la conoscevano nemmeno e con qualche ragazzo del paese, ma sbronzo.

Quei ragazzi sbronzi, ma soprattutto stupidi, presero a scherzare con lei fino a canzonarla. Cominciarono ad allungare le mani, poi in due o tre la portarono in una stanza appartata,  col cervello vuoto a perdere, annebbiati dall’alcool e dal branco, le fecero del male. Del male come peggio non potevano fare. Lei all’inizio cantava, come era solita fare con tutti. Loro quel canto lo hanno frainteso. Lei cantava e loro ne hanno approfittato. Ma Parolona quando si è accorta che il gioco diventava crudele smise, di cantare e cominciò a urlare e a piangere disperatamente.

Le urla e i pianti vennero uditi dagli altri partecipanti alla festa, che tentarono, invano, di fermare lo scempio.

Parolona da quel giorno, da quella lurida festa e da quella maledetta sera, non fu più la stessa.

Il suo sguardo era perso nella disperazione totale, ovunque ella fosse, e ovunque la si intravedesse.

Ma qualora incrociasse qualcuno, parolona non cantava più e prendeva a urlare di dolore e a strapparsi i capelli. La si vide in paese, solo qualche giorno ancora, perché presto, venne affidata, ad un istituto.Gli avevano spezzato, quella dolce armonia che , nonostante tutto aveva dentro. Nel paese rimane il ricordo, di quella ragazza, che amava il prossimo, ma che suo malgrado, incominciò ad odiarlo.