Continua la collaborazione dei Volatori con il periodico Terre Verdiane diretto da Luigi Franchi.

In questo numero il racconto del nostro mitico fondatore Ottavio Torresendi, fresco vincitore, tra l’altro, del prestigioso concorso nazionale   “Parole in corsa” , organizzato da ASSTRA, l’agenzia nazionale dei trasporti pubblici con il racconto “Il retro dell’autobus N.16.”

BIGLIETTO DI SOLA ANDATA

 

Lei era li, avvolta in un sacco di iuta, sull’ultimo sedile prima della porta di uscita.

Sentivo il buon senso dentro di me urlare ‹‹ Lascia stare,può essere pericoloso,può essere…››ma ormai era troppo tardi.

La mia mano  si era collegata ai neuroni della curiosità, mentre le linee delle azioni giuste faticavano ad avere campo…la mia mano l’aveva tolta dal suo sudario di canapa color tabacco.

I mattini nascono a volte così, con te che sali su una corriera per presentarti all’ennesimo colloquio dell’ennesimo tentativo di far fruttare una laurea in architettura, nell’infinito deserto inascoltato delle tue legittime aspirazioni e finiscono con un sudario di canapa, apparentemente dimenticato.

Sicuramente era “loro”, perché “loro”, dimenticati da una corriera privata su questa corriera pubblica ,la mia corriera pubblica, non dovevano esserci.

Ed erano di questa opinione anche gli altri occupanti della corriera pubblica alla fermata dell’autobus di Sariano.

Di loro non conoscevo nulla, nulla delle loro legittime aspirazioni ma avevo una certezza… erano vestiti come me.

Meno formali,meno “sono venuto per un colloquio di lavoro,ho appuntamento con l’Ingegner Vampa”, alcuni con accostamenti un po’ esplosivi, alcuni ombelichi su pance un po’ troppo tondeggianti, un po’ troppo esposti, ma di sicuro nessuno di loro era vestito da scudiero o da paggio o da cavaliere medioevale.

Un castello, una rocca, quella di Gropparello, uno dei tanti qui su queste autunnali colline fra il Chero, il Riglio e il Vezzeno.

Un torneo medioevale per la gioia di  turisti armati di macchine digitali e di emozioni preconfezionate, preriscaldate, pronte all’uso.

Figuranti calati nella parte dei festeggiati vincitori, dimenticati da più disattenti o forse più euforici o semplicemente più sbronzi figuranti perdenti.

E io sono adesso davanti al suo scintillio,  ora che è privata del suo sudario color tabacco,  estratta da un fodero pesante segnato da ricordi di un tempo che l’ha corroso.

Il suo luccichio ha invaso la cabina dell’autobus e lo sfolgorio nasconde ogni certezza delle cose concrete.

Solo le parole incise sulla guardia della spada vengono verso di me quasi animate e mi sussurrano…

‹‹ Cavaliere, ancora una volta vincitore! La fama del vostro coraggio e della vostra spada vi precedono ormai ad ogni torneo.›› Ho una spada,la mia spada, ho uno scudo, il mio scudo e ho un nuovo tempo, il mio tempo.

Ho un tempo, quello delle mie ambizioni, che si disgrega man mano che le ombre si allungano sull’arena del torneo.

Ho un tempo, quello delle speranze calpestate, che si allontana come le foglie ingiallite dei faggi colpite dal maestrale.

Forse esiste per questo incantesimo una porta, una via di sicurezza, se esistesse un ripensamento.

Tutto è accaduto sulla corriera, forse è sulla corriera….forse è la corriera.

‹‹ Io prima lo avevo veduto.›› Lo sguardo di Robaldo ha la velocità di chi, incontrando cose sul suo cammino, si chiede se possano essere utili a colmare una voragine di fame che lo perseguita.

‹‹ Io prima lo ebbi a raccogliere.››  La spocchia di Adalberto è di chi si nutre dei succulenti avanzi della tavola del suo signore ogni volta che lui banchetta e si accompagna ai cavalieri dei suoi tornei.

 ‹‹La pioggia non bagna chi per primo la guarda al sicuro di una cinta merlata, ma dell’erba che silenziosa l’accoglie.››

Adalberto godeva nel confondere le idee del suo agreste amico con le metafore che udiva declamare al cospetto del suo Signore.

‹‹ L’appartenenza credo invece sia di chi carpisce il segreto di questo arcano che il cavaliere vincitore ha perduto.››

L’astuzia di Robaldo voleva tendere una trappola a Adalberto, per aggirare le metafore e impadronirsi di quel foglietto colorato, anche se ormai era certo della sua non commestibilità.

 ‹‹ Caprone, più dei caproni che governi per l’ignoranza che soverchia la sporcizia dei pensieri tuoi! Tu vorresti or ora che disvelassi la maledizione che si nasconde in questo arcano che la spada cristiana del cavaliere vincitore ha allontanato dai suoi occhi.››

In realtà Adalberto, anche se godeva dei favori di una tavola a cui serviva e si beava delle declamazioni dei poeti e dei cantori che intrattenevano il suo signore, era analfabeta, tanto quanto il suo astuto amico, ma aveva un’idea che lo avrebbe tratto di impaccio, anche se a fronte di un sacrificio.

‹‹ Se recitassi la formula della maledizione essa percuoterebbe me e le mie viscere, mentre la fede che l’ha allontanata dagli occhi del cavaliere governerà anche questo  mio gesto.››

Cosi dicendo prese l’arcano colorato e lo gettò fra la sabbia scavata dagli zoccoli dei cavalli nella lizza del torneo.

Fu lì, fra l’erba che crebbe nell’attesa del torneo di primavera,fu lì, fra i denti di leone, la borraggine e la rucola selvatica che lentamente si sciolse l’arcano colorato che mi avrebbe riportato a ben altre battaglie quotidiane, con avversari non certo così leali e senza le regole di Geoffrey di Previlly.

Sarebbe bastato che io lo avessi recuperato e avessi letto ciò che vi era impresso

“ Biglietto di solo andata Sariano-Piacenza”.

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