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IL NOME DI MIO FRATELLO

Christian scende le scale in silenzio, guarda il muro e di sbieco le persone che incrocia. Accenna un movimento obliquo del capo torcendo il collo come se l’avessero impiccato. Isa, sua sorella maggiore, quando ha partorito, ha chiamato il bambino come lui. Le hanno chiesto perché, quasi fosse una colpa e lei, ai curiosi che guardavano il neonato oltre il vetro, ha risposto: «È il nome di mio fratello».
Isa, dopo tanto girovagare, due anni fa ha sposato Orlando, il ragazzo dell’appartamento di fronte. Avrebbe desiderato sposarsi con chi le avesse fatto battere il cuore fin sulla punta della lingua. Con Renato era durata tre anni. Una notte però, le farfalle intrappolate nella pancia erano fuggite come falene e al risveglio, vedendo il faccione ronfante del compagno, la barba ispida e il rotolo di pancia che sbocciava dalla maglia girata insù, aveva fatto le valigie ed era sparita lasciando sul comodino il catalogo Ikea e la piantina della casa. Orlando intanto studiava. Si era diplomato, fidanzato con Anna, lasciato, poi con Giulia, lasciato, laureato in economia e commercio. Aveva trovato lavoro. Gli piaceva fare cose semplici: la pizza il sabato, una gita la domenica, le partite la sera. I genitori di Isa seppero attendere il tempo giusto. Era da sempre che sognavano per la figlia un giovane a modo. La vedevano tornare dai viaggi devastata, come fosse stata in guerra: magra, pallida, ferita; così, quando le intuirono negli occhi il disincanto, levarono l’arrocco e fecero scacco in tre mosse: cena con i genitori di Orlando, incontro casuale Orlando Isa, consapevolezza nell’uno dell’esistenza dell’altra e viceversa. Orlando lavorava in banca già da sei mesi, in una filiale distante ma in un posto di responsabilità, e Isa si convinse dell’inesistenza del principe azzurro.
Tre mesi prima del matrimonio, il signor Beppe, quando aveva già comprato il vestito per condurre all’altare la sua Isa, si salvò da un ictus celebrale per miracolo. Fu Christian a trovarlo rantolante sul pavimento e ad avvertire il 118. Uscì dall’ospedale per il matrimonio, accompagnato da un’infermiera e spinto dal figlio sulla carrozzella a porgere il braccio tremante alla sposa, mentre la chiesa si liberava dalla commozione con un applauso, mitigando l’attesa di Orlando.
Adesso, per essere puntuale, Orlando la mattina esce alle sei e percorre 100 chilometri. Torna alle nove e a volte neppure aprono le persiane della villetta comperata fuori città. Il sabato comincia la guerra dei tagliaerba e della spesa e delle cure al bimbo. A curare il signor Beppe invece, paralisi monolaterale, ci pensa Christian. Dopo qualche lavoro in assunzione obbligatoria non ha trovato più niente. Ha già passato i trent’anni. Tutte le mattine escono alle dieci e vanno al parco. Christian spinge la carrozzella e corre a tenere le porte, a controllare i gradini, a comprare il giornale. Ha imparato a leggere meglio e quando suo padre è stanco, anche se non capisce gli articoli, sputa le parole nere d’inchiostro e le trasforma in sussurri lenti che si spiegano sotto le chiome dei platani. A mezzogiorno tornano a casa. Se piove, giocano a briscola. A Christian piace ramino ma suo padre non ce la fa a tenere in mano troppe carte. Guardano le gocce di pioggia e il padre lascia che Christian segni i punti sui vetri appannati.
«È bello, Christian», dice Christian ridendo.
Il padre annuisce. Ammicca.
«Mica io», continua, «il bambino. Il bambino di mia sorella».
«Tuo nipote! Sei suo zio», dice allora il padre.
Christian resta muto, inclina il capo ed è come se uno stormo di falene gli artigliasse la vista. Il piccolo Christian gattona inseguito dalla nonna. Da quando Isa ha ripreso a lavorare lo lasciano lì. Cresce, impara, guarda nonni e zio: sorride. Quando escono tutti insieme, inseguiti da occhiate che ancora si chiedono perché Isa abbia dato al figlio il nome del fratello, occupano tutto il marciapiede.
«Lo sa Dio…», si rispondono da sole le malelingue.
Sì, credo proprio sia così. Dio lo sa.

Un po’ sardo un po’ milanese, Luigi Tuveri ( luituve@tin.it http://www.luigituveri.it ) è nato a Milano il 30/7/64. Scrive poesie, romanzi e racconti per raccontare a sé, a chi ascolta e al futuro, lo spazio e il tempo che vive.

Continua la collaborazione dei Volatori con il periodico Terre Verdiane diretto da Luigi Franchi.

In questo numero il racconto del nostro mitico fondatore Ottavio Torresendi, fresco vincitore, tra l’altro, del prestigioso concorso nazionale   “Parole in corsa” , organizzato da ASSTRA, l’agenzia nazionale dei trasporti pubblici con il racconto “Il retro dell’autobus N.16.”

BIGLIETTO DI SOLA ANDATA

 

Lei era li, avvolta in un sacco di iuta, sull’ultimo sedile prima della porta di uscita.

Sentivo il buon senso dentro di me urlare ‹‹ Lascia stare,può essere pericoloso,può essere…››ma ormai era troppo tardi.

La mia mano  si era collegata ai neuroni della curiosità, mentre le linee delle azioni giuste faticavano ad avere campo…la mia mano l’aveva tolta dal suo sudario di canapa color tabacco.

I mattini nascono a volte così, con te che sali su una corriera per presentarti all’ennesimo colloquio dell’ennesimo tentativo di far fruttare una laurea in architettura, nell’infinito deserto inascoltato delle tue legittime aspirazioni e finiscono con un sudario di canapa, apparentemente dimenticato.

Sicuramente era “loro”, perché “loro”, dimenticati da una corriera privata su questa corriera pubblica ,la mia corriera pubblica, non dovevano esserci.

Ed erano di questa opinione anche gli altri occupanti della corriera pubblica alla fermata dell’autobus di Sariano.

Di loro non conoscevo nulla, nulla delle loro legittime aspirazioni ma avevo una certezza… erano vestiti come me.

Meno formali,meno “sono venuto per un colloquio di lavoro,ho appuntamento con l’Ingegner Vampa”, alcuni con accostamenti un po’ esplosivi, alcuni ombelichi su pance un po’ troppo tondeggianti, un po’ troppo esposti, ma di sicuro nessuno di loro era vestito da scudiero o da paggio o da cavaliere medioevale.

Un castello, una rocca, quella di Gropparello, uno dei tanti qui su queste autunnali colline fra il Chero, il Riglio e il Vezzeno.

Un torneo medioevale per la gioia di  turisti armati di macchine digitali e di emozioni preconfezionate, preriscaldate, pronte all’uso.

Figuranti calati nella parte dei festeggiati vincitori, dimenticati da più disattenti o forse più euforici o semplicemente più sbronzi figuranti perdenti.

E io sono adesso davanti al suo scintillio,  ora che è privata del suo sudario color tabacco,  estratta da un fodero pesante segnato da ricordi di un tempo che l’ha corroso.

Il suo luccichio ha invaso la cabina dell’autobus e lo sfolgorio nasconde ogni certezza delle cose concrete.

Solo le parole incise sulla guardia della spada vengono verso di me quasi animate e mi sussurrano…

‹‹ Cavaliere, ancora una volta vincitore! La fama del vostro coraggio e della vostra spada vi precedono ormai ad ogni torneo.›› Ho una spada,la mia spada, ho uno scudo, il mio scudo e ho un nuovo tempo, il mio tempo.

Ho un tempo, quello delle mie ambizioni, che si disgrega man mano che le ombre si allungano sull’arena del torneo.

Ho un tempo, quello delle speranze calpestate, che si allontana come le foglie ingiallite dei faggi colpite dal maestrale.

Forse esiste per questo incantesimo una porta, una via di sicurezza, se esistesse un ripensamento.

Tutto è accaduto sulla corriera, forse è sulla corriera….forse è la corriera.

‹‹ Io prima lo avevo veduto.›› Lo sguardo di Robaldo ha la velocità di chi, incontrando cose sul suo cammino, si chiede se possano essere utili a colmare una voragine di fame che lo perseguita.

‹‹ Io prima lo ebbi a raccogliere.››  La spocchia di Adalberto è di chi si nutre dei succulenti avanzi della tavola del suo signore ogni volta che lui banchetta e si accompagna ai cavalieri dei suoi tornei.

 ‹‹La pioggia non bagna chi per primo la guarda al sicuro di una cinta merlata, ma dell’erba che silenziosa l’accoglie.››

Adalberto godeva nel confondere le idee del suo agreste amico con le metafore che udiva declamare al cospetto del suo Signore.

‹‹ L’appartenenza credo invece sia di chi carpisce il segreto di questo arcano che il cavaliere vincitore ha perduto.››

L’astuzia di Robaldo voleva tendere una trappola a Adalberto, per aggirare le metafore e impadronirsi di quel foglietto colorato, anche se ormai era certo della sua non commestibilità.

 ‹‹ Caprone, più dei caproni che governi per l’ignoranza che soverchia la sporcizia dei pensieri tuoi! Tu vorresti or ora che disvelassi la maledizione che si nasconde in questo arcano che la spada cristiana del cavaliere vincitore ha allontanato dai suoi occhi.››

In realtà Adalberto, anche se godeva dei favori di una tavola a cui serviva e si beava delle declamazioni dei poeti e dei cantori che intrattenevano il suo signore, era analfabeta, tanto quanto il suo astuto amico, ma aveva un’idea che lo avrebbe tratto di impaccio, anche se a fronte di un sacrificio.

‹‹ Se recitassi la formula della maledizione essa percuoterebbe me e le mie viscere, mentre la fede che l’ha allontanata dagli occhi del cavaliere governerà anche questo  mio gesto.››

Cosi dicendo prese l’arcano colorato e lo gettò fra la sabbia scavata dagli zoccoli dei cavalli nella lizza del torneo.

Fu lì, fra l’erba che crebbe nell’attesa del torneo di primavera,fu lì, fra i denti di leone, la borraggine e la rucola selvatica che lentamente si sciolse l’arcano colorato che mi avrebbe riportato a ben altre battaglie quotidiane, con avversari non certo così leali e senza le regole di Geoffrey di Previlly.

Sarebbe bastato che io lo avessi recuperato e avessi letto ciò che vi era impresso

“ Biglietto di solo andata Sariano-Piacenza”.

http://www.terreverdianenews.info/lista_art.php?id=23

E’ arrivato anche il turno della nostra volatrice più giovane, Monia Sogni, scrittrice, poetessa e pittrice e di Agostino Damiani, il nostro senior, pluripremiato autore di gustose novelle, spessissimo ospite delle pagine di “Libertà”.

Eccovi il loro racconto a due mani:

CODICE ROSSO

Lasciato il piazzale i Carabinieri procedettero per qualche chilometro, lentamente, quando improvvisamente illuminarono un giovane che veniva trafelato verso di loro, correndo.
« Vuoi vedere che questo è il figlio…»
Lo presero a bordo e seguirono le sue istruzioni per raggiungere una piazzuola poco distante, giù per una stradina alberata.
La Golf giaceva su di un fianco fuori dalla carreggiata, quasi a ruote all’aria; gli air-bag erano esplosi e un solo faro illuminava parzialmente la scena. Si sentiva un forte odore di benzina. Una ragazza spaventatissima era in piedi fuori dall’auto. Gridava:
« Ma dove sei andato? Cazzo, mi lasci sola dentro l’auto con addosso quel cuscino di gomma…»
« Eri svenuta…non riuscivo a tirarti fuori…sono corso a cercare aiuto…»
Disse il Carabiniere anziano, che di figli grandi ce ne aveva anche lui:
« Ma tu…non sei la figlia di quello del distributore di Borghetto?
« Si, l’Agip.»
« Dai, ragazzi, salite dietro che per l’auto ci vuole il carro attrezzi, andiamo!»
Si fecero dare il numero da Luca e telefonarono a casa sua. Rispose Alfredo:
« Si, maresciallo…»
« Abbiamo trovato suo figlio. L’auto è finita fuori strada ma loro due sono illesi. Si, in una stradina… è difficile da spiegare…tanto dobbiamo passare di lì per andare a Borghetto a portare a casa la ragazza… Lo riportiamo noi…tranquillizzi sua moglie!»
Quando i quattro nella Gazzella dei Carabinieri arrivarono al piazzale di casa Pagani trovarono i coniugi sulla porta. Ansiosi e preoccupati, si capiva che avevano litigato. Aveva domandato lei:
« Quale ragazza di Borghetto?»
« Che ne so, una ragazza…»
« Potevi chiederlo…e la mia Golf ? »
« Ma vai …»
Dall’auto scese per primo il Carabiniere più anziano e poi Luca.
La mamma buttò le braccia al collo del figlio, come per scaricare con quella stretta tutta la tensione e l’ansia delle ultime ore e intanto guardava l’interno della macchina, che era illuminato, dove c’era immobile la ragazza, una biondina minuta.
Si, l’aveva già vista in qualche foto… allora era lei, era lei quella ragazzina che già da qualche anno aveva fatto di suo figlio un completo rincitrullito!
Alfredo invece reagì diversamente, non ne poteva più, aveva il fumo agli occhi, contrariato anche per quel prolungato abbraccio della Jolanda a Luca, che trovava eccessivo e teatrale.
Fece un passo avanti e senza dire una parola stampò uno schiaffone sulla faccia del ragazzo, tra guancia e collo. Lui rimase impietrito, attonito…ma poi reagì violentemente!
Mise entrambe le mani sul petto del padre e lo spinse in modo cattivo, facendolo cadere rovinosamente all’indietro. La mamma gridò:
«Lucaa!»
***

Stamattina ho deciso di andare a trovare Mirta. Non è passato poi molto tempo dal nostro ultimo incontro ma ho bisogno di vederla spesso: solo lei riesce a tranquillizzarmi.
Le porterò dei fiori. Delle rose. Si! Le sono sempre piaciute…
Ricordo ancora il giorno del nostro primo incontro: aveva una magliettina a fiori che strideva un po’ col suo incarnato pallido e la faceva sembrare ancora più piccola.
Non era particolarmente bella, Mirta, però aveva un bagliore negli occhi… per niente al mondo avrei rinunciato ad entrare in quella luce. E una volta dentro decisi di rimanere.
Mi faceva sentire così speciale, sebbene non lo meritassi! Anche ora, mentre sto comprando queste rose, sento che nessuna potrà mai amarmi come lei.

***

“Ciao amore mio. Guarda, ti ho comprato delle rose. Spero di piacciano.”

“Sai, stanotte ho fatto ancora quel sogno, il solito ormai da tanti mesi… una frenata brusca, l’auto che si ribalta, tutti che mi dicono che tu stai bene, tu che mi insulti perché ti ho lasciato con la faccia tra gli airbag, mio padre che mi molla un bel ceffone sulla guancia. Al risveglio mi sembra addirittura di sentire il caldo formicolio dello schiaffo. E di vedermi in quel bagliore dei tuoi occhi…”

* Mirta Strali
15-10-85 20-04-09

“Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille (…) erano le tue.”
Tuo, Luca

Questo mese potete trovare su Terre Verdiane, il bimensile di cultura turismo e territorio il racconto scritto a tre mani dalle volatrici  Chiara Ferrari, Giusy Cafari Panico ed Elisabetta Paraboschi.

Gustatevelo:  s’intitola Dolce a Sopresa e lo potete leggere su Terre Verdiane !!!!

Continua l’appuntamento ormai tradizionale con i racconti dei Volatori pubblicati dalla rivista bimestrale Terre Verdiane diretta da Luigi Franchi.

Se vi siete persi le ultime due uscite, date un’occhiata alla pagina “VR su Terre Verdiane”: lì troverete tutti i racconti fino ad ora pubblicati ed ovviamente anche gli ultimi, Serata all’opera di Alessandra Locatelli, Sergio Cicconi e Luigi Tuveri e Il maestro di Doriana Riva, Francesco Danelli e Pietro Chiappelloni.

Buona lettura!!

Terre Verdiane news, bimestrale di cultura, turismo e territorio, diretto da Luigi Franchi, ha deciso di dedicare da questo numero una pagina tutta per i Volatori Rapidi!

E’ un grande onore per noi e un piacere collaborare con una rivista letteraria di qualità perdipiù legata al nostro territorio e alle nostre tradizioni.

Di seguito l’introduzione al nostro gruppo scritta dal Direttore:

Chi sono i Volatori Rapidi? I Volatori Rapidi, sono in sedici, esattamente otto donne e otto uomini, si muovono bene insieme, collezionano premi, scrivono racconti sui quotidiani locali, fanno un sacco di presentazioni ed ognuno mantiene comunque la sua sfera, quella che di limiti non ne ha. Questo costringerà il lettore ad uno sforzo moltiplicatore per seguirli tutti negli anni a venire, ma credo che ne varrà la pena. I loro nomi: Emanuela Affaticati, Giusy Cafari Panico, Angelo Calza, Pietro Chiappelloni, Sergio Cicconi, Agostino Damiani, Francesco Danelli, Chiara Ferrari, Alessandra Locatelli, Elisabetta Paraboschi, Federico Puorro, Doriana Riva, Monia Sogni, Ottavio Torresendi, Melissa Toscani, Luigi Tuveri.

…la recensione di “Confini”

 

 

 

 

Dove c’è un fiume c’è sempre un ponte.. Leggevo Confini dei Volatori Rapidi mentre accanto avevo l’ultimo numero di Diario, tornato in edicola con una monografia dedicata al termine confine. Mi soffermo sulle parole del geografo Franco Farinelli che afferma “l’autentico effetto della globalizzazione è che la Terra ha imposto finalmente di essere pensata per quello che è, un globo. Noi, per stare tranquilli, abbiamo sempre avuto bisogno di confini: una sfera, invece, di limiti non ne ha”.
Forse, anzi sicuramente, le due cose non c’entravano niente ma da quella frase ho iniziato per leggere il libro come una sfera, senza limiti, pregiudizi o condizionamenti. Un ottimo esercizio per capire che ci sono persone che faranno strada nella letteratura.
Non c’è una riga fuori posto e, dal momento che non credo che una piccola casa editrice come quella che ha pubblicato il libro dei Volatori Rapidi abbia un potentissimo “ufficio editing”, vuol dire che questo è un libro fatto bene all’origine, con tanto valore in più.
Loro, i Volatori Rapidi, sono in sedici, esattamente otto donne e otto uomini, si muovono bene insieme, collezionano premi, scrivono racconti sui quotidiani locali, fanno un sacco di presentazioni ed ognuno mantiene comunque la sua sfera, quella che di limiti non ne ha. Questo costringerà il lettore ad uno sforzo moltiplicatore per seguirli tutti negli anni a venire, ma credo che ne varrà la pena. I loro nomi: Emanuela Affaticati, Giusy Cafari Panico, Angelo Calza, Pietro Chiappelloni, Sergio Cicconi, Agostino Damiani, Francesco Danelli, Chiara Ferrari, Alessandra Locatelli, Elisabetta Paraboschi, Federico Puorro, Doriana Riva, Monia Sogni, Ottavio Torresendi, Melissa Toscani, Luigi Tuveri.

Confini
Volatori Rapidi
Edizioni Domino
Euro 15,00

Ed ecco allora il primo apporto dei Volatori a Terre Verdiane, un racconto scritto dai tre volatori più ironici del gruppo, i  nostri tre moschettieri: per leggerlo vai alla pagina “I VR su Terre Verdiane”…

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andate sul link e a leggere il giornale anche in versione cartacea!

http://www.terreverdianenews.info/lista_art.php?id=23

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